Tibet, la strada dell’amicizia

Il 15 ottobre del 2011, una improvvisa perturbazione aveva scavalcato le cime himalayane e inondato il cielo del plateau tibetano. Nella notte una leggera quanto precoce nevicata aveva imbiancato la pista sterrata tra il passo Pang la e il monastero di Rongbuck.

Al mattino il cielo era di nuovo terso, le nuvole magicamente disperse ed emigrate chissà dove. I falsipiani aridi e pietrosi dei territori ai piedi dell’Everest erano mascherati da un velo di bianco assoluto e l’atmosfera, per noi che raggiungiamo abitualmente quella zona durante la stagione estiva, decisamente affascinante. I tibetani nei pressi del campo base stavano smantellando l’insediamento stagionale di tende messo su a fine aprile per accogliere i pochi turisti. Tutto aveva un aspetto particolare … forse un tantino malinconico, come sempre quando finisce una festa e si smontano le giostre.
Il turismo, così come lo si vive oggi, in chiave moderna, si era allineato alla natura, stava seguendo le leggi ed i tempi secolari della transumanza. Era un po’ come se tutti quei concetti moderni che dominano il mondo attuale del viaggio avessero perso attinenza con la realtà, o meglio, con quella nostra realtà di persone in quel preciso momento al cospetto delle poco lontane masse di ghiaccio di Rongbuck e della parete settentrionale dell’Everest.
Al di là dell’enfasi delle narrazioni e della retorica delle parole, questo breve momento di una delle tante traversate in Tibet, vorrebbe far riflettere su quante volte in un viaggio, un imprevisto sfuggito alla regia, diciamo “politica e commerciale”, possa diventare un’esperienza unica che non abbandonerà mai più la nostra mente. Un piccolo frammento di memoria dove immagine e sensazioni intime si mescolano e si depositano rimanendo là per sempre … per tutta la nostra vita.

Pochi anni fa’ un giornalista di un noto quotidiano nazionale italiano dedicò una pagina intera al Tibet denunciando in modo superficiale e scontato la caduta della cultura tibetana verso l’appiattimento ad uso e consumo del turismo cinese ed internazionale. Non fece neanche un cenno ai tanti esempi di testimonianze storiche e artistiche del Paese o alle interminabili e sommesse code di pellegrini davanti al tempio sacro del Jokhang.
Viviamo le eclissi culturali come una colpa moderna ed invece le culture si spengono quando vengono a mancare quelle particolari condizioni commerciali, ambientali, sociali che le avevano contraddistinte. La modernità, la globalizzazione, non è altro che il processo più accelerato del transito verso altre forme culturali … chissà quali? Già negli anni ‘30, ancora prima dell’inizio dei tempi “moderni”, il più grande conoscitore della realtà tibetana in occidente, Giuseppe Tucci, denunciava la caduta della grandezza dei monasteri tibetani verso condizioni di pura sopravvivenza. La fine di un’epoca di ricchezza che aveva portato il fiorire di correnti di studio molto interessanti sotto il piano filosofico, artistico e religioso trascinava i corpi monastici in un ambito di pura e semplice latenza.

In Tibet cultura e religione sono veramente inscindibili. La religione, nei secoli, goccia a goccia, ha permeato il modo di essere delle persone. Il popolo tibetano continua anche ai giorni nostri ad essere il vero portatore della cultura secolare dell’altopiano. Questa affermazione non è una ovvietà, le vicissitudini storiche avrebbero potuto cambiare l’uomo tibetano ma ciò non è accaduto: nelle prostrazioni dei fedeli, nella ripetizione dei mantra, nelle superstizioni e nelle credenze l’uomo è rimasto uguale … nonostante tutto e nonostante i tempi.
Ci sono foglie palmate nelle quinte scenografiche dipinte alle spalle delle divinità del monastero di Shalu … Una scuola pittorica del 1300, formatasi alla corte di Kublai Khan, aveva portato sull’altopiano fiori sconosciuti, piante mai viste … un insieme nuovo e variegato di colori e forme che un tibetano, vissuto sempre su declivi dove la linea dell’orizzonte passa tra il verde giallo dei soli muschi e l’azzurro del cielo … non avrebbe mai potuto immaginare.

Le divinità arrivavano da mondi paradisiaci che un pellegrino dell’altopiano avrebbe guardato con occhi stupefatti. Piante stilizzate, foglie e fiori da climi umidi subtropicali … ecco gli ambienti ultraterreni delle divinità. Andate a cercare dietro le immagini divine la foglia elegante della Cannabis Indica (canapa indiana), dell’Ailan-thus ovvero “albero del cielo”, del Ficus, della Jakaranda, del Flamboyant (albero del fuoco – Delonix regia), delle foglie di felci leggere come piume o di quelle ampie come una mano aperta del Sal (Shorea Robusta) … Ecco un esempio del passato tibetano dove le diverse culture e conoscenze si sono incontrate dando vita a qualcosa di nuovo.

Andare per Paesi, guardandosi intorno un poco smarriti, senza poter cogliere l’essenza storica e culturale dei popoli è al di sotto delle nostre ambizioni.

Lo spettacolo naturale del ghiaccio vivo del Nojin kang Sa, poco oltre le sponde del lago Yamdrok o del Melungtse, in faccia al passo Lalung La o del Chooyu, dalla piana di Tingri o dell’Everest dal monastero di Rongbuck è anche lo specchio dove da sempre, storia, popolo e cultura si riflettono. Ecco il frammento composito di memoria che si è depositato nel nostro cuore o nella nostra mente dopo il viaggio del 15 ottobre 2011.

Un viaggio in TIBET e NEPAL con Giovanni Dardanelli

FRIENDSHIP HIGHWAY, LA STRADA DELL’ AMICIZIA (Kel12) 

Partenze 28 giugno – 9 agosto – 27/28 settembre 2014 (in occasione del Saga Dawa)

1° giorno – Volo da Milano Malpensa a Kathmandu.

2° giorno – Arrivo a Kathmandu e, dopo alcune ore di riposo, visita della capitale nepalese.

3° giorno – Visita dei centri architettonici e religiosi più significativi della valle di Kathmandu: Pashupatinath-Patan-Boudanath.

4° giorno – Volo da Kathmandu a Lhasa: dopo aver costeggiato le vette innevate della catena himalayana fino alla vista dell’Everest, il volo si dirige verso l’altopiano tibetano.

5° giorno – Lhasa: visita al tempio Jokhang, il cuore della fede tibetana, e al Drepung, il complesso monastico più grande del Tibet.

6° giorno – Continua la visita della città: il palazzo del Potala, antica sede dei Dalai Lama, il monastero di Sera e Norbulinka, la residenza estiva del Dalai Lama.

7° giorno – Partenza per Samye; lungo il percorso sosta al tempio di Dorje Drak

8° giorno – Visita del Monastero di Samye, il più antico del Tibet. Trasferimento a Tsetang e visita di Yumbulakang e Tandruk.

9° giorno – Attraversiamo l’altopiano centrale verso occidente da Tsetang a Gyantse costeggiando il lago Yamdrok: comincia la trans-himalayana conosciuta con il nome di ‘’Strada dell’amicizia”.

10° giorno – Visita del bellissimo insieme sacro composto dal Palkhor Chode e dal Kumbum e del monastero di Shalu. Proseguimento per Shigatse.

11° giorno – Visita al complesso monastico del Tashilumpo; superato il passo Tsuo La’ si arriva a Sakya.

12° giorno – Dopo la visita del monastero di Sakya si percorre il Gya Tsu Là, uno dei passi camionabili più alti del mondo fino a Xegar.

13° giorno – Xegar: escursione al monastero di Rongbuk e al campo base dell’Everest

14° giorno – Superato il Passo di Lalung Là comincia la discesa lungo il bordo occidentale del “Tetto del Mondo” verso Zhangmu, al confine con il Nepal, per arrivare a Dulikhel.

15° giorno – Lasciamo Dulikhel per dirigerci verso Baktapur, riconosciuta come Patrimonio dell’Unesco, prima di giungere a Kathmandu dove è prevista l’ultima notte.

16° giorno – Volo per Milano Malpensa.

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