La prima volta che sono salito sul cratere di Ngorongoro rimane indimenticabile. Era fine aprile ed erano già iniziate un po’ di piogge. Il paesaggio era verdissimo e l’aria profumava di terra bagnata, quell’odore di terra d’Africa che rimane nel naso e nei ricordi, e che ti spinge a tornarci appena puoi.
Mentre salivo le pendici del cratere, ebbi la sensazione di trovarmi in un film di avventura. La vegetazione, fittissima, era dominata da alberi dalle forme suggestive. I tronchi coperti di muschio ed i rami addobbati con liane e licheni che penzolavano nella nebbiolina del mattino creavano l’ambientazione perfetta per un’avventura epica. Salendo, l’umidità si infittiva ed una volta arrivato in cima la visibilità era ridotta a pochi metri. Di colpo la nebbia che mi avvolgeva si alzò come un sipario e, di fronte a me, apparve uno dei più grandi spettacoli che la natura ci abbia mai regalato.
L’immenso cratere di Ngorongoro si apriva ai miei piedi e ricordo di aver pensato di trovarmi di fronte al famoso “mondo perduto”. In quel paesaggio fantastico, così lontano ed isolato dal mondo che conosciamo, sarebbe stato normale vedere dei dinosauri brucare tranquillamente le foglie dagli alberi mentre, in aria, volavano acrobatici pterodattili. Sceso all’interno della caldera mi rassegnai al fatto che i dinosauri non ci fossero, in compenso c’erano, in abbondanza, quasi tutti i principali mammiferi africani. Enormi branchi di zebre, gnu, bufali, ippopotami, alcuni tra i più grandi esemplari di elefanti viventi, svariati gruppi di leoni e perfino alcuni esemplari degli ormai rari rinoceronti neri. In aria volteggiava una splendida aquila pescatrice il cui richiamo fu ben definito da Hemingway: “the voice of Africa”.
Un vero Eden ricco di acqua e pascoli tutto l’anno, da cui gli animali non hanno nessuna intenzione né necessità di allon-tanarsi per migrare altrove. Lasciando il cratere non ebbi il tempo di provare nostalgia per quel luogo incantato, subito assorbito dalle gigantesche giraffe che allungavano ancora un po’ i loro colli sproporzionati, eppure così eleganti, per cogliere le foglioline più verdi delle povere acacie sul loro cammino. Poco più avanti Olduvai Gorge, definita “la culla dell’umanità”, meritava una sosta. Quasi un doveroso riconoscimento, un pellegrinaggio ad uno dei luoghi che più ha contribuito agli studi di paleontologia che hanno tracciato i passaggi dell’evoluzione umana. Il piccolo museo e le informazioni fornite sul posto fanno volare la fantasia al tempo in cui ancora ci misuravamo con la natura ad armi pari.
Ormai la curiosità del viaggiatore era insaziabile, e l’attesa delle praterie del Serengeti mi spingeva a guardare solo avanti a me, certo che il ricordo di quanto stavo vivendo mi avrebbe accompagnato per sempre. Le promesse di grandiosità non furono minimamente deluse.
Un mare d’erba con le sue isole di granito, i kopjes, dove i leoni amano scaldarsi al sole mentre osservano, apparentemente disinteressati, le sconfinate mandrie di gnu che brucano soddisfatte gli infiniti steli d’erba. L’occhio può spaziare senza confini né barriere artificiali che disturbino il piacere di trovarsi in una natura incontaminata che avvolge, rassicurante, uomini ed animali nel suo verde mantello.
Lo spettacolo continuava anche quando, seduto comodamente nei lodges, sorseggiavo un terapeutico gin tonic godendomi il tramonto e le silhouettes degli alberi e degli animali che si preparavano alla notte. Quello che ignoravo era che, oltre al Ngorongoro e Serengeti, famosi per gli innumerevoli documentari che così bene li descrivono, la Tanzania fosse così riccamente varia di situazioni e luoghi interessanti. Il parco del Lago Manyara con la sua foresta sub-equatoriale mi immerse in una realtà completamente diversa, ricca di primati, elefanti che apparivano improvvisamente tra gli arbusti e grandi strisce di rosa e bianco che fenicotteri e pellicani dipingevano sulla tela del lago ai piedi della scarpata della Rift Valley. Questa “ferita”, che incide profondamente il continente africano, è qui particolarmente visibile ed era solo un’altra delle meraviglie della natura con cui mi confrontavo.
Nel parco del Tarangire oltre agli immancabili animali, ed in particolare ai sorprendenti branchi di elefanti, mi aspettava
una delle più grandi concentrazioni di baobab conosciute. Questi enormi alberi, veri monumenti naturali, davano, pur silenziosi ed immobili, il senso di forza e potenza della natura che accompagna immancabilmente chi si avventura in un viaggio africano.
Che diredei piccoli gruppi di Hazdapi, i “boscimani” tanzaniani che ho avuto il privilegio di veder cacciare con arco e frecce, non per divertirsi ma per sostentarsi, nei dintorni del lago Eyasi. O ancora, nei pressi del lago Natron, del vulcano attivo Oldonyo Lengai, sacro per i masai che accompagnati dalle loro mandrie vagano armati di lancia in queste terre senza tempo…
Il ricordo di un viaggio ci arricchisce, non si svaluta, nessuno può portarcelo via e ci accompagnerà per tutta la vita. Di quante cose possiamo dire lo stesso?
TANZANIA ATMOSFERE D’AFRICA (kel 12)
Partenze 14 febbraio e 7 giugno 2014
1° giorno – Partenza dall’Italia con volo di linea.
2° giorno – Arrivo ad Arusha/Kilimanjaro e trasferimento al piccolo Parco Nazionale di Arusha per un primo safari, pernottamento ad Arusha.
3° giorno – Trasferimento e giornata dedicata al safari all’interno del Parco Manyara, famoso per la vegetazione lussureggiante e i leoni che si arrampicano sugli alberi.
dal 4° al 6° giorno – Visita del sito archeologico di Olduvai Gorge e proseguimento per l’immenso Parco del Serengeti, safari lungo la via.
7° giorno – Proseguimento per il Cratere di Ngorongoro e pomeriggio dedicato all’esplorazione della sua immane caldera, una vera e propria Arca di Noè.
8° giorno – Visita del villaggio di Mto Wa Mbu e proseguimento per il Parco del Tarangire.
9° giorno – Giornata dedicata al safari all’interno del Parco del Tarangire.
10° giorno – Rientro ad Arusha, visita del mercato e imbarco sul volo di ritorno in Italia, pernottamento a bordo.
11° giorno – Arrivo in Italia.