Musica, spiagge dorate e selvagge, cattedrali opulente e una cucina che sembra un romanzo. Il cuore del Brasile batte a Salvador de Bahia, davanti a una delle baie più belle del mondo.
Il fatto è che bisogna lasciarsi travolgere rinunciando a comprenderla. Ammirando il profilo di Salvador dall’isola di Itapirica, il silenzio che si distende sulle spiagge ha già in sé il seme della saudade. È l’intraducibile mal di Brasile, fatto di solitudine e nostalgia, che condanna tanti di noi, tra cui il sottoscritto, a non sentirsi più a casa da nessuna parte. Ci mettiamo poi che vista Salvador, ogni luogo al mondo sembra pressoché disabitato. Alcuni dicono sonnolento.
Ci sono mescolanze come piatti di grandi chef, capaci di esaltare il tutto e al contempo dare vita nuova alle singole parti. La capitale della Bahia, fiore meticcio per eccellenza, trova in questo il segreto della propria energia. Portoghesi, nativi, immigrati vari e soprattutto milioni di schiavi portati dall’Africa, da impiegare come manodopera nelle piantagioni di canna da zucchero. L’odierna cultura bahiana è un originale brodo di anime, dove ogni etnia ha dato il proprio contributo in termini di tradizioni, cucina, musica e spiritualità. Su tutto, come un lievito in continuo fermento, la voce figlia degli schiavi di colore. Per questo Salvador è anche detta la città nera del Brasile: in nessun luogo al mondo i discendenti degli schiavi africani hanno mantenuto con tanta forza il proprio retaggio culturale.
Città nera vuol dire danze, ritmi vigorosi che animano le strade e soprattutto capoeira, praticata un po’ ovunque. È una sorta di arte marziale dove due lottatori si scambiano colpi e compiono eleganti evoluzioni senza toccarsi mai. Attorno a loro, in semicerchio, alcuni compagni cantano e suonano ilberimbao, un arco che tende una corda metallica su cui è fissata una zucca secca, che funge da cassa di risonanza. Lacapoeira veniva praticata dagli schiavi in segreto e solo nel ‘900 uscì dalla clandestinità, diffondendosi poi come disciplina sportiva in tutto il Brasile. È un’arte che porta in seno una vena di malinconia, dove destrezza e musica si fondono con l’eco di un dolore. Attorno, ricche cattedrali risalenti al periodo coloniale, odori sapidi di spezie e cocco, strade acciottolate dal fascino decadente tra palazzi tinteggiati con colori pastello.
Il cuore di Salvador è il Pelourinho, il quartiere storico incluso tra i patrimoni dell’Umanità dall’UNESCO; il suo respiro e il suo sguardo, invece, sono rivolti al mare. È la grande Baia di Todos os Santos, la più estesa del Brasile. Decine di isole, alcune delle quali disabitate, dove l’intatta natura tropicale si mescola ad antiche vestigia architettoniche del periodo coloniale. Un’ora di traghetto, magari in un giorno infrasettimanale, e ti ritrovi appunto a Itapirica o ancora meglio a Bom Jesus dos Passos. L’atmosfera è tranquilla, odori e suoni finalmente si placano. Salvador, che brilla sull’acqua dalla parte opposta, nasconde le proprie sfumature scivolando in un velo di foschia azzurra. Si distinguono la città alta, quella bassa e il fascinoso porto, teatro di storie e passioni che il grande scrittore Jorge Amado ha fedelmente ritratto. Grazie ai suoi libri possiamo volare in Bahia anche standocene sulla poltrona di casa. Parlano d’amore, di ladruncoli, marinai e prostitute; di uomini attaccati a un sogno che sperperano le proprie risorse ai tavoli da gioco. Gente mulatta, senza un colore dominante, con un’immensa voglia di vivere, capace di guardare avanti durante i periodi bui.
Rientrando in città in tempo per il tramonto, è bello affacciarsi al parapetto e guardare l’ombra delle nubi rosse che scende tra le strade. Sembra per un istante di voltare pagina. Poi la musica riprende accanto ai ristoranti e la baia s’accende di luci. Tra i personaggi che passano, c’è di sicuro anche quellaDonna Flor cantata da Amado, abile cuoca e moglie del focoso Vadinho. Dopo la morte, ridotto a uno spettro perennemente nudo, Vadinho torna da lei per continuare le interrotte peripezie amorose. Sensualità, antiche religioni fuse col cattolicesimo, tormento e denuncia sociale. Nella trasfigurazione letteraria del grande scrittore, morto nel 2001 scandalosamente senza premio Nobel, c’è tutto il grido prorompente dell’inafferrabile Bahia.